Storia dello Zafferano

Lo zafferano è stata da sempre la spezia più preziosa al Mondo. Essa si ricava dagli stimmi (pistilli) essiccati del fiore di una pianta (Crocus Sativus Linnaeus), originaria dell’area compresa tra il Mediterraneo Orientale e l’Asia Minore, dove si coltivava sin dall’Età del Bronzo. Fu diffusa poi in tutto il Mediterraneo dai Greci, dai Romani e dagli Arabi, e, in India e in Cina, dai Persiani. In Egitto è attestata la coltivazione come medicamento da almeno 3.500 anni. Con la caduta dell’Impero Romano si ebbe un calo vertiginoso della coltivazione di questa spezia in Europa, che venne ripresa solo durante il Medioevo nelle regioni soggette alla dominazione araba (Spagna e Sicilia). In Spagna furono infatti gli arabi ad importare lo zafferano, che ancora oggi è un ingrediente fondamentale della tipica Paella valenciana.

In Italia – come ampiamente testimoniano le fonti romane – la spezia era conosciuta ed utilizzata in vari modi sin dai tempi più remoti, grazie ai commerci che i Fenici, i Greci e gli Arabi da sempre intrattenevano con la penisola. Verso il 1300 la sua coltivazione venne introdotta in Abruzzo – come vuole la tradizione – grazie all’intraprendenza di un monaco domenicano: ancor oggi in quella regione lo zafferano è assai presente ed è considerato uno dei migliori al Mondo.

Il termine zafferano deriva dall’arabo zaha-farān (زعفران), che significa “splendore del sole”, dall’etimo Asfar, che vuol dire “giallo”, da cui prendono le mosse quasi tutti i termini delle lingue europee che identificano questa spezia: il latino Safranum, l’italiano Zafferano, il francese Safran, lo spagnolo Azafrán e l’inglese Saffron. Il termine botanico con cui si identifica invece la pianta dello zafferano è Crocus Sativus Linnaeus (comunemente detto Croco).
L’origine del nome latino Crocus deriverebbe direttamente dal termine greco Kròcos  (Κρόκος), che a sua volta verrebbe dall’aramaico e ancor prima dal semitico Kurkema, che gli Arabi adattarono in Kurkum, gli Ebrei in Karkom e i Fenici in Krakhom, ma in ogni lemma avrebbe sempre il significato di color “giallo splendente” o “giallo oro”.

Le più antiche raffigurazioni dello zafferano sono le pitture parietali micenee delle “Raccoglitrici di zafferano” nell’isola di Santorini (Museo Archeologico di Thera) e del “Raccoglitore di Zafferano”, proveniente dal Palazzo di Knosso a Creta.

Mentre le più antiche citazioni dello zafferano che si conoscano sono quelle contenute nel papiro egiziano di Ebers del 1550 a.C. e nella Sacra Bibbia (Vecchio Testamento):

I tuoi germogli
sono un paradiso di melagrane,
con i frutti più squisiti,
alberi di cipro e nardo,
nardo e zafferano,
cannella e cinnamòmo,
con ogni specie di alberi d’incenso,
mirra e àloe,
con tutti gli aromi migliori.

(Cantico dei Cantici, IV, 13-14).

La mitologia greca, e poi quella latina, narrano del sofferto amore della bella ninfa Smilace, favorita del Dio Ermes (Mercurio) col giovane Crocus.
Il Nume, geloso del giovane mortale, cercò di ostacolare quest’ardente passione della ninfa, trasformando i due amanti in due diversi fiori: Crocus in un fiore giallo (da cui il nome del bulbo di zafferano) e Smilace in un fiore bianco (da cui la Smilax aspera, ovvero la pianta cosiddetta Salsapariglia); l’uno, usato per tingere ed impreziosire di giallo oro i tessuti, e l’altro, con le foglie spinose a forma di cuore, come simbolo di un amore tenace ed infranto.

Omero, Virgilio ed Ovidio ne parlano spesso nelle loro opere.

Ó dirò come Smilace amò Croco,
Ma non potè goder l’amato fianco,
Che nel contender l’amoroso gioco,
Divenner fior, l’un giallo, e l’altro bianco
(Ovidio, Metamorfosi, lib. IV, 283).

Un vendicativo Mercurio – narra la versione riferita da Galeno – uccise Croco, lanciandogli un disco, e, affinché ne restasse a monito degli uomini il ricordo di aver osato contrapporsi alla divinità, intinse col suo sangue il fiore di zafferano, da cui il colore rosso vermiglio dei suoi preziosissimi stigmi.

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Mauro Gambini de Vera d’Aragona

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