La Storia dell'Azienda

L’idea di impiantare per la prima volta lo zafferano in Irpinia, nella terra di Fontanarosa, nasce nel 2006 da un’intuizione di un giovane avvocato e storico napoletano: Mauro Gambini de Vera d’Aragona.

Nato a Napoli nel 1971, dopo gli studi giuridici e la laurea in Giurisprudenza all’Università Federico II di Napoli, svolge la professione di avvocato, affiancandola alla sua passione per la storia. Nel 2002 vince una borsa di studi all’Istituto Italiano per gli Studi Storici, fondato da Benedetto Croce, e successivamente un Dottorato di Ricerca in Storia Moderna all’Università Federico II di Napoli, che lo condurranno entrambi sia a Venezia che in Spagna, dove diventa frequentatore abituale dei più importanti archivi, biblioteche e centri culturali di questo paese.
Pubblica i suoi lavori di ricerca storica in varie riviste scientifiche e collabora, nel frattempo, alla cattedra di Storia Moderna e Contemporanea dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli.  

La sua famiglia da sempre è stata legata al mondo dell’agricoltura e alla conoscenza della natura. Già un suo bisnonno, conduttore di un’azienda agricola modello alle pendici dei Monti Lattari, nei pressi del Vesuvio, fu nel 1874 uno dei primissimi allievi della Regia Scuola Superiore di Agricoltura di Portici (oggi Facoltà di Agraria della Università Federico II), sorta nel 1872 per formare i rampolli delle famiglie possidenti ad una agricoltura moderna e illuminata.

La frequentazione con una giovane principessa iraniana, appartenente all’antica casa reale di Persia, introduce l’avvocato Gambini de Vera nell’affascinante mondo delle spezie e dello zafferano in particolare, di cui quel paese orientale ne è la patria indiscussa.
Dopo vari stages formativi in zafferaneti italiani ed esteri, il Gambini fa quindi piantare i primi bulbi di Crocus Sativus Linnaeus in alcuni fondi rustici di Fontanarosa, appartenuti da secoli alla sua famiglia.

Laddove si coltivava quello che tradizionalmente caratterizza l’agricoltura di questo territorio (cereali, vite, olivo, nocciolo, ecc.), nell’autunno del 2013 iniziano a spuntare le prime vivacissime distese di colore lilla, il tipico colore dei fiori di zafferano. Confortato dai brillanti risultati di laboratorio, che ne decretano in pieno l’appartenenza alla prima categoria di zafferano (su 4 categorie complessive), lo zafferaneto di Fontanarosa si espande ogni anno e il prodotto viene sempre più apprezzato da palati raffinati e da gourmets internazionali.
Nel 2015 viene registrato il marchio e nel 2016 la partita IVA, che determinano ufficialmente l’avvio dell’azienda agricola “Zafferano di Fontanarosa”, che si specializza nella produzione di pistilli di purissimo zafferano naturale e di bulbi di Crocus Sativus L.
Dal 2017 l’azienda è in stato di conversione biologica, formalizzando così la sua consuetudine di una agricoltura sana ed in armonia con la Natura. 

L’azienda agricola Zafferano di Fontanarosa, che sorge a ca. 600 mt. di altitudine, ha la fortuna di avvalersi di un favorevole fattore ambientale. Infatti, la composizione e il declivio dei suoi terreni, la loro esposizione soleggiata, il grado di umidità naturale e costante, che permette di non avvalersi di un’irrigazione artificiale, sono tutti elementi che, combinati insieme, concorrono a realizzare un eccellente zafferano, dall’aroma intenso, dal forte sapore amaricante e dalla spiccata capacità di colorazione.

Il ciclo produttivo inizia con una concimazione tardo primaverile a base di componenti organici naturali, a cui segue una fase di fresatura del terreno che prosegue fino alla piantagione dei crochi (bulbi di zafferano) nel mese di agosto.
Tra ottobre e novembre, invece, inizia la raccolta dei fiori, che viene condotta interamente a mano da donne e uomini, animati da forte passione per la natura e da tanta buona volontà.

Sia la sfioratura, ovvero la separazione rigorosamente a mano degli stigmi dal resto del fiore, che l’essiccazione a ca. 45°C di caldo ventilato, avvengono in laboratorio, secondo le più rigide norme di igiene. Il confezionamento del prodotto finito, che avviene immediatamente dopo l’essiccazione, utilizza solo materiali naturali (vetro, carta, raffia) e quindi interamente riciclabili, nel pieno rispetto dell’ambiente. Si privilegia il confezionamento degli stimmi in barattoli di vetro – con chiusura ermetica in sughero o in metallo – in modo tale da assicurare la perfetta conservazione del prodotto per almeno due anni dalla data di confezionamento.
Inoltre, l’azienda preferisce confezionare e vendere lo zafferano “in pistilli”, piuttosto che “in polvere”, per garantire l’acquirente sulla purezza e genuinità del prodotto. Infatti, è bene diffidare quando esso si presenta già ridotto in polvere, perché potrebbe contenere anche sostanze estranee alla sua natura (adulterato).

Il logo aziendale è stato ideato dall’avvocato Gambini nei minimi dettagli e disegnato a mano da un suo amico artista, il bulgaro Stefan Nedialcov Popdimitrov, Pope della Chiesa Greco-Ortodossa di Venezia.

Esso è composto da una ghirlanda di fiori di zafferano che circonda a sua volta una corona di rose antiche, in ossequio sia allo zafferano che al borgo di Fontanarosa che lo ospita.

Ghirlanda e corona di rose fanno poi da cornice al monogramma del fondatore dello zafferaneto nell’inevitabile color “rosso zafferano”, a imitazione degli stigmi del fiore stesso.
Ai tralci è legato un motto svolazzante che recita in latino Attritu melior, che sta letteralmente a significare “pestato è ancor meglio”.
La frase è tratta dal dialogo di Scipione Ammirato stampato a Napoli nel 1562 e intitolato Il Rota overo delle imprese. L’autore fa dialogare il protagonista, il nobile e poeta petrarchesco Berardino Rota, con altri due gentiluomini napoletani. Ad un certo punto del dialogo il discorso tra gli interlocutori cade sul croco (zafferano) e le sue proprietà, così come erano state descritte da Plinio il Vecchio nella sua celebre Naturalis Historia, in cui, sottolineando la leggendaria tempra e resistenza di questa pianta, Plinio affermava che essa, quantunque fosse maltrattata e messa a dura prova, riusciva sempre a germogliare vigorosa (gaudet calcari et atteri pereundoque melius provenit, Plinio, Nat. Hist., XXI, 17, 34).
Il Rota, quindi, a questa frase vi aggiunse il suo …attritu melior (…ancor meglio se schiacciato), a significare che, come questa spezia offre il meglio di sé quando viene schiacciata o pestata, anch’egli aveva dato il meglio della sua produzione artistica e letteraria proprio nel momento della sua maggiore sofferenza e tribolazione personale per la perdita della moglie.

Attritu melior, quindi, oltre a valere come consiglio pratico per un uso ottimale della spezia, che andrebbe pestata in un mortaio di pietra perché possa offrire sempre il massimo del suo rendimento; è anche un po’ un incitamento alla resistenza, una metafora della vittoria che la forza e la tenacia riescono a ottenere su tutti gli ostacoli e le difficoltà che la vita ci pone innanzi.

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